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Ritorno al parco

Ritorno al parco

Un albero da scalare, un prato su cui correre, un rotolone per ridere a crepapelle. Finalmente siamo tornati al parco, dopo due mesi in cui abbiamo scoperto la fortuna di avere un cortile.

Per la nostra prima uscita abbiamo deciso di spingerci un po’ più in là di quanto eravamo soliti fare nei pomeriggi normali, dopo la scuola. E così ci siamo incamminati per via Saragozza fino a raggiungere il parco di Villa Spada. Al nostro arrivo abbiamo intravisto solo qualcuno che si godeva il sole e non c’era più di una persona per panchina.

Varcata la soglia del parco, il selvaggio ha tolto la mascherina, tenuta per prudenza lungo la strada, e si è fiondato sul grande e maestoso albero poco distante dall’ingresso. Ramo dopo ramo è arrivato quasi in cima, come fa tutte le volte che oltrepassa il cancello d’ingresso; come ha fatto l’ultima volta che ci siamo stati, in quell’intermezzo tra la chiusura delle scuole e quella dei parchi cittadini.

Poi ci siamo incamminati lungo il sentiero e mentre lui e la fanciulla correvano avanti alla ricerca della “scociatoia” per il pratone, non ho potuto fare a meno di osservare qualche fiore e respirare il profumo del bosco. Sì, ho sentito il profumo del bosco a meno di 100 metri, in linea d’area, da una strada trafficata.

E ancora su, per la piccola salita in mezzo ai cespugli fino ad arrivare al pratone, insolitamente poco popolato. Una famiglia con due bambini giocava vicino a un albero, qualche coppia chiacchierava pigramente sull’erba, qualcun’altro si lasciava trascinare su per la collina da un cane tenuto al guinzaglio. Una signora anziana passeggiava lentamente sostenendosi al braccio di una signora più giovane.

La fanciulla si è seduta all’ombra di un albero, il selvaggio ha continuato a correre fino in cima al pratone per poi rotolare sull’erba, felice. Una, due, tre volte, senza preoccuparsi di andare a sbattere contro qualcuno, visto che la discesa era sgombra.

Corse e salti fanno sudare e non ci si può non togliere la maglietta prima di trascinare in una corsa una sorella che avrebbe preferito approffitare dello spazio all’aperto per ripassare qualche esercizio di ritmica. E così via tra i piccoli sentieri, quello che porta verso la scuola, quello che conduce ai ciliegi, quello che gira intorno e ti riporta esattamente al punto da cui sei partito. Una corsa, un salto, dodici “ancora un po’” prima di andare via.

“Andiamo via”,per la verità, poco convinti. Quelli di chi vuole stare ancora un po’ a gironzolare, fotografare un fiore, guardare la città dall’alto, scrutarne il profilo, immutato nonostante la pandemia. Indicare con il dito San Pietro e San Petronio, le due Torri.

“Quando scendiamo a piedi da scuola passiamo sempre da lì” ha detto a un certo punto la fanciulla. “Chissà se le maestre porteranno anche me…” ha risposto il selvaggio, che oltre ad essere selvaggio è anche primino. “Si, ma per quest’anno scordatelo che tanto la scuola non ri-apre” ha ribattuto lei. “L’avevo capito” ha chiosato lui, con una faccia non troppo convinta, rabbuiandosi per un istante.

“Possiamo scendere dalla scorciatoia?” mi ha urlato, mentre già scivolava sul sedere, ridendo come sulle giostre. Neppure il tempo di scrollarsi di dosso la terra che già procedeva a grandi balzi, questa volta preceduto dalla sorella, lungo un piccolo pendio erboso.

“Torniamo anche domani?” ha chiesto,prima di rimettere la mascherina. Nel dubbio è andato a dir qualcosa al suo amico albero, quello gigante vicino all’ingresso. Felice.

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