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Quattro e mezzo

Quattro e mezzo

Non sono un amante dei numeri. I numeri di per sé dicono poco, nella vita intendo. Quattro e mezzo è un brutto voto, un’orario poco invitante per svegliarsi al mattino e quello degli appuntamenti pomeridiani di tanti anni fa. Quattro e mezzo, però, è anche un numero bellissimo quando indica l’età di un bambino. Forse quel mezzo è già di troppo nel contare il tempo passato ma questa è un’età di “già” e di “ancora” che si inseguono. Il selvaggio, per esempio, è un soggetto adatto o meglio il mio soggetto ideale per tessere un elogio mammesco di quest’età.

Quattro e mezzo è quell’età in cui ci si rifugia e ci si installa senza pensarci troppo nel lettone, abbracciati ad un pupazzo che è ancora amico e compagno di avventure. Quattro e mezzo è un risveglio senza pensieri e carico di entusiasmo in cui c’e ancora il tempo per sfregare il viso contro il mio, chiedere ed elargire bacetti non più bavosi.

Quattro e mezzo è credere ancora alle favole e ai mostri che ancora mi invento per ridere insieme. Il mostro delle caccole e quello che mangia i piedi dei bambini, che non ne vogliono sapere di dormire alle undici di sera, arriveranno indenni alle cinque candeline? Forse sì o forse no, ma cosa importa? Quattro e mezzo è ancora un qui e ora in cui ieri e domani sono vaghi sinonimi di passato e futuro.

Quattro e mezzo è una F che ancora non c’è senza che io mi preoccupi troppo dei suoi “pinito” e “patto”. Quattro e mezzo è un susseguirsi di uscite spiazzanti che ancora non possono essere etichettate figure di M. Quattro e mezzo è fissare le unghie lunghissime e appuntite di una sconosciuta per sentenziare a gran voce “Mamma, guarda, una strega!” oppure fermarsi davanti ad un signore decisamente in carne e chiedergli “Hai un bambino nella pancia?”. Quattro e mezzo è un concentrato d monellerie, idee strampalate, conquiste esagerate. Quattro e mezzo è ancora il tempo di prendersela con la bicicletta che “non vuole girare” e scroccare un grissino al supermercato conquistando la commessa con un sorriso. Quattro e mezzo è giocare spalmato sul pavimento e battere le mani con le dita divaricate e i palmi che si scontrano, un modo tutto diverso da quello dei grandi.

Quattro e mezzo è “vado da solo” , “faccio da solo”. Quattro e mezzo è ancora autoproclamarsi “grande” o “piccolo” a seconda del momento con una maestria capace di strappare sorrisi. Quattro e mezzo è un repertorio infinito di facce buffe tirate fuori al momento giusto. Quattro e mezzo è stupirsi per una gita in treno e il diritto inviolabile di sporcarsi mangiando un gelato e non capire perché non ci si possa fare il bagno al mare in pieno inverno.

Quattro anni e mezzo sono anche un sacco di altre cose come l’esistenza incontrovertibile e provata di Babbo Natale, potersi presentare a casa delle vicine per salutare il gatto e il binomio inscindibile “aerosol-cartone animato” come se il secondo fosse conditio sine qua non dell’effetto terapeutico del primo. Quattro e mezzo è un pollice piegato sul palmo perché ancora cinque è lontano.

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