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Pasto e retta, mezzi e fini

Pasto e retta, mezzi e fini

tavoliIeri mentre accompagnavo il selvaggio alla scuola dell’infanzia mi è cascato l’occhio sulla civetta di un quotidiano locale, oggi è capitata la stessa cosa: ieri in primo piano c’era la notizia, oggi le reazioni che a dire il vero già ieri circolavano sul web. La notizia in questione è ovviamente la “tassa di frequenza” che il Comune di Bologna intende introdurre per le scuole dell’infanzia comunali.

Fino ad oggi le famiglie hanno pagato solo i pasti con un sistema che da qualche anno prevede una tariffazione a consumo su base Isee. La nuova tariffa- se il provvedimento passerà al vaglio della commissione prima e del consiglio comunale poi – sostituirà la tariffa del servizio mensa con una  “tariffa di frequenza – comprensiva della refezione scolastica – quale quota di contribuzione al costo complessivo di gestione della scuola”.

L’assessore alla scuola e vicesindaco Marilena Pillati- nel commentare e rispondere alle critiche già arrivate da più  parti- replica che la giunta vuole valorizzare il  valore educativo del pasto  e che per le famiglie non cambierà nulla visto che la nuova tariffa sarà modulata sulla base di quella oggi in vigore per il servizio mensa. Coloro che non vorranno far mangiare i figli a scuola, inoltre, potranno ottenere una tariffa che tenga conto di questa scelta.  In sintesi: la scuola dell’infanzia non sarà più gratuita anche se per la stragrande maggioranza dei portafogli non dovrebbe cambierà nulla.

Il desiderio di mettere nero su bianco le finalità educative del pasto nasce anche dalla volontà di arginare il pasto da casa che, a partire da Torino dove è stato “liberalizzato” da una sentenza del Tar, sta prendendo piede anche in altre realtà. A Bologna il fenomeno appare contenuto e attualmente sarebbero quaranta i bambini per i quali le famiglie hanno fatto questa scelta. Il pasto da casa, panino o schiscetta che sia, non mi ha mai convinto del tutto. E anche se i bambini mangiano tutti insieme mi lascia perplessa per il rischio di enfatizzare le differenze. Faccio un esempio personale: per quanto io presti attenzione a ciò che metto nel piatto dei miei figli non sempre ciò si riflette in prodotti biologici o a filiera corta. Per farla breve: nel fare la spesa e nello stabilire i menù mi lascio influenzare dalle offerte. Onestamente non credo di essere l’unica. Il servizio mensa dovrebbe, invece, garantire equilibrio nutrizionale e prodotti di qualità in modo continuativo a tutti.  Sicuramente chi sceglie il pasto da casa sarà più virtuoso di me nel fare la spesa e nel cucinare. Personalmente, non mi dispiace che a scuola i miei figli incontrino e magari si scontrino con sapori nuovi o poco frequentati a casa. Motivo che mi ha spinto a sposare la causa di una mensa migliore e accessibile piuttosto che quella del pasto preparato in casa.

Inoltre, non mancano le teorie pedagogiche che mettono in evidenza l’importanza del pasto così come l’apparecchiare e il servire a tavola. E questo è particolarmente vero per la scuola dell’infanzia. Fosse per me, oltre a cibo vario e di qualità, vorrei che i bambini potessero maneggiare piatti di ceramica e bicchieri di vetro. Una delle gnome, inoltre, ha apprezzato moltissimo il poter essere la cameriera, che a turno con i compagni e le compagne, serviva gli altri. Esperienza preclusa a chi ( per ragioni che non mi permetto di giudicare) non consuma il pasto a scuola e probabilmente resa più difficoltosa dal pasto da casa.

Insomma, apprezzo lo sforzo di voler valorizzare le finalità educative e pedagogiche del pasto. Però c’è un però. “Il il valore educativo del pasto prevale sul principio di gratuità» ha spiegato  la vicesindaco al Carlino. Il fine giustifica i mezzi? mi chiedo parafrasando il buon Niccolò.

Mio figlio continuerà a pranzare a scuola e per il mio portafoglio non cambierà niente, ma mi dispiace che la scuola dell’infanzia comunale perda quella caratteristica della gratuità che l’ha sempre contraddistinta. So che può apparire esagerato ma è come se perdesse un pochino del suo essere patrimonio della città, di tutti e di tutti.  Davvero non c’è modo di salvare capra e cavoli?

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