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Telecamere al nido, la paura che avanza.

Telecamere al nido, la paura che avanza.

“Finalmente”! “Era ora!” Confesso di aver letto con un po’ di disagio le espressioni di giubilo con cui molti genitori hanno accolto l’inserimento nel decreto sblocca cantieri di un fondo per l’installazione di telecamere e sistemi di videosorveglianza nei nidi e nelle strutture socio sanitarie per anziani e disabili. Ormai da diverso tempo e da più parti si invocano le telecamere per far fronte ai casi di maltrattamento di cui la cronaca ci porta a conoscenza. Il problema, anche se si tratta di “eccezioni” rispetto alla norma, esiste e non può essere sottovalutato. Sul fatto che le telecamere siano la soluzione, invece, nutro, forti dubbi.

Nido e diffidenza

Come ho già scritto, mi spaventa l’idea di aver bisogno di una telecamera per sentire che mio figlio, e con lui qulasiasi bambino, sia in un luogo sicuro. La fiducia che tanti sembrano riporre nelle telecamere mi sembra, invece, sintomatica di un clima di sospetto, di una società retta sul “fidarsi è bene non fidarsi è meglio”. Un mondo in cui si vive costantemente con la paura di qualcuno o qualcosa e si pretende di sapere sempre chi sia il nemico da cui guardarsi. Ma anche un mondo in cui si pretendono, o ci si illude di poter avere, soluzioni certe senza fermarsi ad analizzare il problema.

Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio, dicevo. Può valere questo principio al nido o alla scuola d’infanzia? No, secondo me no. Ad unire genitori ed educatori ci dovrebbe essere sempre un patto educativo, più o meno esplicito. E tale patto si fonda sulla fiducia reciproca. Può esserci tale fiducia se per sentirmi sicura ho bisogno, prima ancora di aver osservato la relazione educativa, che questa sia telesorvegliata? Per quanto mi riguarda no. Preferisco fidarmi della professionalità delle singole educatrici e dell’intero team che dovrebbe ruotare intorno a una buona struttura educativa.

Maltrattamenti e telecamere

Tra i vantaggi dell’installazione delle telecamere c’è probabilmente quello di velocizzare l’individuazione dei responsabili di violenze e maltrattamenti. Insomma, le telecamere potranno svelare (meglio di quanto facciano quelle nascoste dagli inquirenti?) i maltrattamenti ma difficilmente, da sole, potranno prevenirli. La prevenzione, ripetono inascoltati diversi pedagogisti, richiede formazione, lavoro d’equipe, supervisione. A meno che non ci ostiniamo a credere che tutti i casi di maltrattamento siano riconducibili solo e soltanto a “cattive maestre” capaci di trasformarsi scientemente in Mr Hide non appena si trovano sole con i bambini.

La responsabilità penale è, e deve essere individuale, ma quando in un nido si verificano dei maltrattamenti, occorrerebbe soffermarsi a capire come e perchè certi comportamenti siano stati messi in atto e perpetuati senza che nessuno intervenisse. Capire non significa giustificare ma cercare di individuare quegli elementi che possono favorire o scoraggiare certi atteggiamenti. Un nido in cui si verificano casi di maltrattamento probabilmente è una struttura in cui il lavoro d’equipe e di supervisione non funziona al meglio, in cui la formazione iniziale e in servizio è carente, in cui non si presta abbastanza attenzione alla prevenzione e alla presa in carico del burnout.

Un buon nido è tale, ha scritto efficcacemente Laura Branca nel suo BolognaNidi, quando è trasparente e non sono le telecamere, almeno non da sole, a garantire la trasparenza. La qualità è data da una serie di ingredienti tra cui il progetto educativo, la supervisione pedagogica, la cura degli spazi, la formazione del personale. Elementi questi che ci dovrebbero stare a cuore nel momento stesso in cui scegliamo un nido o una scuola d’infanzia, consapevoli che si tratta di realtà educative e non soltanto di luoghi di “custodia” o “parcheggio”. E dovrebbero stare a cuore anche a chi governa che, invece, appare più interessato a cavalcare ed alimentare paure e stereotipi negativi. E un po’, lo ammetto, trovo strano che si invochi maggiore rispetto per gli insegnanti delle scuole secondarie e contemporaneamente si coltivi la diffidenza verso chi lavora nello 0-6.

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