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Non tutto quel che si fa “fuori” è outdoor education. Dialogo con Marta Arduino.

Non tutto quel che si fa “fuori” è outdoor education. Dialogo con Marta Arduino.

Ancora pochi giorni e partiranno i centri estivi. La ripresa scolastica di settembre, invece, appare ancora avvolta nell’incertezza del “come” e “dove”. Intanto, si ripete, quasi come un mantra, l’invito a considerare la possibilità di”fare lezione all’aperto”. E accanto alla locuzione “all’aperto” troviamo spesso l’espressione “outdoor education”. Cosa significa fare “otdoor education”? E costruire esperienze educative all’aperto?

Dopo l’esperienza di Tanja, oggi vi propongo un dialogo con Marta Arduino, pedagogista, consulente pedagogica e educatrice di nido. Il dialogo nasce da una riflessione pubblicata sul suo blog Storie di un’educatrice.

Marta Arduino. Pedagogista e educatrice di nido. Foto Storie di un’educatrice

 Le linee guida per i centri estivi raccomandano di trascorrere molto tempo all’aperto e, in questi mesi, l’ipotesi di “far lezione all’aperto” è stata proposta da più parti anche come una possibilità per il prossimo anno scolastico, specie per quanto riguarda nidi, scuole d’infanzia e scuole primarie. Potrebbe essere una spinta per promuovere e diffondere forme di educazione all’aperto?

L’outdoor si connota come una strategia educativa versatile e dalle molteplici applicazioni ed è determinata dal suo applicarsi all’ambiente esterno. É un approccio che si può utilizzare attraverso moltissimi itinerari educativi, purché idonei ad approfondire a ad ampliare quanto si svolge all’interno nel dentro. Non si propone di sostituire il sistema educativo tradizionale, quello della lezione in aula, ma lo affianca. Non è sufficiente andare fuori per fare outdoor education; prima di intraprendere qualsiasi progetto di questo genere è necessario riflettere sulle potenzialità del rapporto tra bambini e natura; riflettere sulle pratiche e sperimentarle per restituire ai bambini la possibilità di fare esperienza in contesti naturali senza perdere attenzione sui campi d’esperienza e sulle competenze. L’educazione tutta, del resto, non è istinto ma intenzione, progettualità.Per rispondere alla domanda, sappiamo che all’aperto la possibilità di contagio è decisamente inferiore; non possiamo però, a mio avviso, partire semplicemente da questo assunto e traferire i banchi e le lavagne, dove è possibile, nei cortili delle scuole. Outdoor education, infatti, non vuol dire riproporre fuori quanto si fa dentro, ma servirsi di ciò che l’esterno e la natura mettono a disposizione per far sì che i bambini possano fare esperienze di apprendimento significative. Potremo, pertanto, pensare di fare “scuola all’aperto” solo se utilizzeremo i mesi che ci separano dalla riapertura delle scuole per progettare esperienze di senso negli esterni che i diversi territori ci offrono. Andrebbero, in primo luogo, proposti dei percorsi formativi per educatori ed insegnanti, per far sì che venissero indirizzati ad arricchire gli spazi esterni di scuole e servizi educativi con elementi capaci di valorizzare lo stare all’aperto e di favorire il contatto tra bambini e natura. E poi si dovrebbe dar loro modo di vivere gli spazi esterni delle loro scuole e dei loro servizi, perchè solo conoscendoli a fondo ed entrando in sintonia con essi potranno riproporli come spazi di educazione e di apprendimento per i bambini. E tutto ciò prevede tempi non brevi e frettolosi; i tempi della riflessione, infatti, devono essere distesi per essere realmente fecondi.

L’outdoor education è…

Ha appena detto che non basta trascorrere tanto o più tempo del solito fuori per parlare di “outdoor education”…

No, non basta! Trascorrere gran parte del tempo-scuola all’aperto con i bambini quando c’è il sole o fa caldo, detto in questo modo, può considerarsi come momento ricreativo. Per parlare di outdoor education è necessario che lo stare fuori sia pensato come parte integrante del progetto educativo per un determinato gruppo di bambini. Pertanto si deve pensare al fuori come ambiente di educazione e ciò avviene quando l’uscire all’aperto non è limitato alle occasione di bel tempo o è casuale ma è quotidiano ed è rivestito di senso e significato. L’outdoor education è, appunto, education, educazione e ciò presuppone che vi sia un’intenzionalità che orienta lo star fuori. Non si tratta di organizzare la visita in un parco o l’uscita programmata. L’outdoor education funziona tutte le volte in cui sviluppa la curiosità e l’esplorazione del bambino, che lo fa essere attivo lungo “linee di ricerca” suggerite dall’adulto.

Bologna, Villa Spada

Immagini di dover spiegare l’aoutdoor education a dei genitori che non ne hanno mai sentito parlare. Come la definirebbe?

L’outdoor education si configura come un insieme di pratiche educative il cui comune denominatore è la valorizzazione dell’ambiente esterno inteso come “spazio di apprendimento”; è un orientamento pedagogico, non un metodo, in quanto non prescrive attività o percorsi didattici da attuare e non definisce obiettivi da raggiungere. Pone semplicemente l’accento su un punto di vista, quello di valorizzare al massimo lo star fuori e del concepire l’ambiente esterno come luogo di formazione. É l’avventura formativa che anima l’outdoor education, che non vuol dire improvvisazione, ma predisposizione minima di ciò che è indispensabile, lasciando poi alla libertà esplorativa dei bambini la ricerca della soluzione dei problemi.

Quali sono i principali vantaggi offerti dall’outdoor education per i bambini che possono sperimentarla?

I vantaggi dell’outdoor education sono molteplici. I boschi, i giardini, i campi, dal punto di vista pedagogico rappresentano vere e proprie risorse per un’educazione efficace, dal momento che stimolano la creatività, il rispetto per l’ambiente e un’interazione attiva e ricca di stimoli; nel fuori vengono potenziate maggiormente le abilità senso-motorie, la cooperazione e la collaborazione tra pari e le relazioni tra adulti e bambini; in un ambiente non statico e aperto, inoltre, crescono le opportunità di esplorare e sperimentare. Sono motivazioni decisamente forti. A ciò si aggiunge che oggi, in un momento in cui si cerca di comprendere come far ripartire i servizi educativi in sicurezza, è molto chiaro che se ci chiudiamo in casa, stiamo in locali piccoli e affollati, in città sempre più inquinate, abbiamo più probabilità di essere contagiati. È, inoltre, indubbio che sia fondamentale, soprattutto per i bambini e le bambine che abitano in città, vivere il rapporto diretto con la natura in ogni stagione dell’anno: i cambiamenti atmosferici e climatici, la terra, l’acqua, il cielo, le piante, gli animali costituiscono infinite possibilità di esperienza e conoscenza. 

Educazione all’aperto e pedagogia attiva

Educare all’aperto non significa riproporre fuori quello che si fa dentro. Si Cosa significa concretamente?

Io credo che un’esperienza educativa autentica abbia valore a prescindere dal “dove” in cui essa viene realizzata. Non ho, pertanto, l’obiettivo di sostenere che un approccio pedagogico è più valido di un altro. L’educazione, infatti, riguarda sempre sia l’indoor sia l’outdoor, il dentro e il fuori. Outdoor e indoor hanno in comune la parola “door”, porta: se apriamo la porta facciamo Outdoor education, se la teniamo chiusa facciamo indoor education.La differenza sta nelle possibilità differenti che possiamo trovare all’interno e all’esterno. Pensiamo ad un gruppo di bambini che gioca;  in un ambiente esterno avranno la possibilità di fare molte più esplorazioni e molto più varie rispetto ad un ambiente interno e strutturato, sia per la vastità degli spazi che consentono di rafforzare legami e relazioni, sia per le capacità creative e di sviluppo motorio che si possono realizzare. All’esterno possiamo proporre ai bambini lo stesso tipo di esperienze che proponiamo dentro; avremo, però, differenti modalità di declinare tali esperienze. L’ambiente, infatti, non è un contenitore che accoglie senza in qualche modo interferire, ma è un mediatore, che offre spunti per le esperienze. Aggiungo che lo spazio esterno consente ai bambini di esprimere tutta la loro fisicità. Nel fuori riescono a percepire il proprio sé corporeo in maniera completa. É, inoltre, condivisa l’idea educativa secondo la quale i bambini apprendono meglio attraverso il gioco libero, che è un concetto  è il gioco tipico dei bambini perchè piacevole, autodiretto, immaginativo, senza finii precisi, spontaneo, attivo e libero da regole imposte dagli adulti. Il gioco all’aperto offre al bambino un setting privilegiato rispetto al  gioco in sezione o in classe: l’esperienza sensoriale è diversa, si svolgono attività che al chiuso sarebbero proibite o appena tollerate, si gode di maggiore libertà e respiro, è possibile correre e gridare, esiste la libertà di svolgere anche attività “disordinate” che al chiuso sarebbero irrealizzabili.

Passeggiata in vigna

Cosa rende il “fuori” un ambiente educativo?

Un ambiente è educativo quando può offrire a chi lo attraversa delle esperienze di apprendimento. Lo stare fuori garantisce ai bambini di trovare spunti che stimolino i loro interessi e, di conseguenza, facciano esperienze significative per il loro percorso di crescita. Il fuori si configura come un ambiente fisico ampio, flessibile e ricco di stimoli, che offre al bambino occasioni molteplici per acquisire nuove conoscenze, esercitare abilità, esprimere la propria creatività, fare ipotesi, compiere scoperte, sperimentare, trarre conclusioni. Contemporaneamente la ricchezza dei materiali che offre soddisfa interessi e capacità diverse dei bambini, permettendo loro di compiere numerose esperienze avvincenti.

Come ha scritto anche nel suo blog, l’outdoor education è associata alla pedagogia attiva. Come si può spiegare a chi non è del mestiere il concetto di pedagogia attiva?

La pedagogia attiva vede il bambino come protagonista attivo del suo apprendimento e non come ricevente passivo delle azioni dell’adulto. Permettere al bambino di vivere attivamente la propria crescita significa trasformare i contesti educativi a sua misura; per questo si appresta l’ambiente in modo che esso consenta l’azione diretta del bambino, secondo le sue “leggi”, senza che egli sia sopraffatto in alcun modo dall’adulto. É, pertanto, una visione pedagogica che si fonda su una grande fiducia sulle forze che sostengono dall’interno la crescita dell’uomo, crescita che non viene necessariamente diretta dall’educatore/maestro, il quale, al contrario, deve sostenere la libera scelta nel percorso educativo del bambino. L’azione del bambino è considerata attività d’indagine e di apprendimento, il gioco stesso è indagine e scoperta della realtà condotta al pari di un piccolo scienziato, dalla formulazione di ipotesi fino alla loro verifica; pertanto, tutta l’attività del bambino va rispettata e aiutata.Da ciò deriva una nuova concezione di scuola: una scuola non convenzionale, eretta sugli interessi dei discenti, non impostata sul nozionismo e sull’ascolto passivo degli insegnanti. Una scuola in cui il bambino è il protagonista attivo del processo educativo.Il principio fondamentale che distingue l’Outdoor Education è la possibilità esplorativa e osservativa che il bambino può sviluppare entrando a diretto contatto con l’ambiente esterno, luoghi reali dove vive la sua quotidianità. Tale filosofia educativa segue l’idea pedagogica dell’apprendere facendo (learning by doing) proposta da John Dewey, uno dei fondatori dell’attivismo pedagogico. É. un approccio che abbandona le nozioni fini a se stesse, perchè ciò che realmente conta è la ricerca e lo sviluppo delle capacità critiche. L’indagine tramite l’esperienza diretta:  il bambino apprende facendo, diventando il protagonista attivo del suo processo educativo.

Lei ha postato nel suo blog un interessantissimo articolo intitolato “L’outdoor education non si può improvvisare”. Quali sono le “mosse indispensabii” per costruire un progetto di outdoor education?

In primo luogo è necessario individuare uno spazio esterno che possa offrire ai bambini interesse e possibilità di sperimentare; può essere il giardino del nido o della scuola, un parco cittadino, un bosco…Ed è fondamentale che gli adulti stiano bene e si sentano a proprio agio in questo spazio. Si può poi procedere a una vera e propria indagin dello spazio individuato, per cui si può utilizzare una mappa cartacea, uno strumento sul quale registrare le conoscenze, le osservazioni e le aspettative relative al giardino/parco urbano, considerato come un insieme di pratiche e di relazioni. La mappa mette in rilievo elementi naturali/strutturali, elementi specifici di pregio/risorsa o elementi di criticità. Una volta “disegnata” la mappa del proprio spazio esterno, è bene che individualmente gli adulti inizino ad osservare quello che qui accade.Ma la progettazione in Outdoor education, in realtà, è debole, nel senso che non è importante strutturare l’ambiente esterno (in quanto lo è già molto…buche, pozze, erba alta, alberi, tronchi, sassi, cumuli di terra…), ma bisogna lasciare ai bambini la possibilità di muoversi, osservare, esplorare. La miglior verifica in merito alla riuscita delle esperienze all’aperto sono le domande che i bambini pongono e sulle risposte che in seguito strutturano nel confronto reciproco e provocati dagli adulti. Ecco. Anche questo è attivismo pedagogico.

L’outdoor education e gli adulti

Passeggiata a Cala Domestica

 Nel suo articolo ha scritto che le scuole che si troveranno ad affrontare percorsi di outdoor education potrebbero incontrare delle resistenze da parte dei genitori. Quali potrebbero essere? E come si possono superare?

É credenza diffusa che fuori si prende freddo, ci si ammala di più, soprattutto quando si pensa ai bambini più piccoli. Spesso, nel corso della mia carriera di educatrice al nido ho incontrato genitori, nonni e zie che, nelle giornate più fresche, chiedevano di non portare in giardino i bambini perchè avevano il timore che in questo modo si ammalassero. In realtà, come anche ci dimostra la cronaca recente, all’aperto, grazie al continuo circolo dell’aria, è molto più difficile ammalarsi che non al chiuso; ed è sempre buona prassi arieggiare i locali, in tutte le stagioni dell’anno, con una certa frequenza. Le resistenze possono essere legate al fatto che oggi si tende ad aver uno stile di vita estremamente casalingo e  a proteggere i bambini da tutto, quindi anche dal freddo, dalla pioggia, dal vento…Dobbiamo, però, aiutare i bambini a  riconoscere e gestire le possibili situazioni di rischio, perchè soltanto mettendosi alla prova (e quindi rischiando) costruiranno sé stessi all’interno del loro processo di crescita; cresceranno sicuri solo incontrando i propri limiti e superandoli. Ed è compito di chi educa far capire questo alle famiglie, mettendo l’accento sui benefici che può generare nei bambini fare esperienza in natura, benché questa comporti qualche rischio in più rispetto alle esperienze che si fanno negli spazi interni.Io credo che le resistenze, tutte, vadano accolte, cercando di confrontarsi insieme, educatori e genitori, sui benefici a lungo termine dell’approccio dell’educazione all’aperto. E nell’accogliere le resistenze è importante accompagnare le famiglie nel fuori dove i bambini faranno esperienza, facendo vedere loro che noi operatori in quel fuori ci siamo bene e faremo esperienze significative sul piano degli apprendimenti con i bambini.

  Affinchè si possano avviare dei percorsi di outdoor education l’adulto deve essere convinto di star bene nell’ambiene esterno. Tra questi adulti, oltre a educatori e insegnanti, sono compresi anche i genitori? 

Come ho già detto, Outdoor education è molto di più che uscire fuori nel giardino del nido o della scuola durante le belle giornate. Outdoor education implica lo star fuori tutti i giorni con qualsiasi clima. Anche con la pioggia, la neve, il vento, il freddo. Può non essere semplice, a volte. L’adulto, inoltre, può vedere, nel fuori, messe in crisi le condizioni che determinano il controllo su ogni bambino, in quanto ci si trova in uno spazio che non è contenuto e vigilato. Il bambino, fuori, è difficile da pensare.  Per permettere ai bambini di fare esperienze significative di apprendimento, allora, è fondamentale che gli educatori e gli insegnanti vedano gli spazi esterni come una risorsa da valorizzare all’interno della programmazione educativa. Questo è il punto di partenza.  E poi si deve riconoscere che giocare all’aria aperta, soprattutto se si è in città, non è solo una “valvola di sfogo” per i bambini, ma è anche una grande opportunità educativa oltre a corrispondere a un’azione benefica da un punto di vista salutare Nei servizi in cui si propone Outdoor Education è importante anche organizzare incontri o percorsi di educazione familiare per far conoscere ai genitori il valore educativo delle esperienze all’aria aperta. Ed è importante che anche loro riescano a comprendere quanto sia di beneficio per un bambino fare esperienze all’aperto e in natura. Se un genitore di un bambino che partecipa a progetti di Outdoor Education al nido o alla Scuola dell’Infanzia non lo portasse mai fuori perchè non si sente di farlo, lo priverebbe di una fetta di esperienza. Il genitore, pertanto, deve poter preparare la partecipazione del proprio bambino all’esperienza all’aperto, lasciarsi trasportare dagli accadimenti, dagli sguardi, dalla presenza del bambino e dai suoi contributi (verbali o non verbali che siano). Perchè questo avvenga, è fondamentale l’accompagnamento da parte di educatori e insegnanti, che devono far in modo di fare comprendere che se fuori un adulto, un genitore, sta bene, lo stesso avverrà per il bambino. Come sempre, il genitore deve essere consapevole dei processi educativi, così come è fondamentale che sappia sostenere l’attenzione del suo bambino, gli scambi interattivi fino ad arrivare a micro discussioni, ma sempre lasciando scaturire le piste di interesse e di approfondimento Deve essere di supporto, accompagnatore, mediatore che si pone al servizio dell’esperienza del bambino.

Per finire una domanda un po’ fuori tema. Molti di noi hanno cercato di distinguere il distanziamento fisico – funzionale al contenimento del virus – dal distanziamento sociale. Una distinzione di questo tipo può valere per i bambini? E da che età si può chiedere, per quella che è la sua esperienza e il suo bagaglio teorico – ai bambini di mantenere un distanziamento nelle interazioni con i pari?

La relazione educativa, quando parliamo di bambini, passa in primo luogo attraverso il corpo.Con il corpo entriamo in relazione con l’altro; fin dalla nascita entriamo in contatto con altri corpi in un flusso ininterrotto di relazioni ed interazioni; attraverso il corpo sentiamo ed agiamo. Ed è proprio, in questo intreccio continuo e reciproco, tra l’esperienza corporea e le relazioni, gli affetti, le emozioni, che scopriamo e strutturiamo progressivamente il nostro essere. Il corpo nella relazione educativa è un occasione per acquisire consapevolezza del proprio stile espressivo e comunicativo permettendoci di gestire, affrontare, far crescere al meglio la relazione educativa partendo dall’assunto che è dall’esplorazione di noi stessi e che può nascere la possibilità di un cambiamento. Lo sviluppo del sé, soprattutto nei bambini molto piccoli, che dipendono ancora totalmente dall’adulto che cura (care giver) passa dal suo corpo, dal percepirlo come intero e, allo stesso tempo, differenziato nelle diversi parti che lo compongono. In relazione allo sviluppo del sé, Winnicott parlava dell’Holding e dell’ Handling come capacità materna sia di contenere (fisicamente innanzitutto, emotivamente come conseguenza) sia di “manovrare” con sicurezza e rispetto il corpo del bambino. Affinché ci sia sviluppo integro e autentico del sé (senso di interezza tra psiche e soma), secondo il teorico anglosassone, è necessario che l’adulto che si occupa del bambino sia presente emotivamente e in sintonia con il bambino quando lo abbraccia, lo cambia, lo tocca, lo nutre.Pertanto credo che sia impossibile distanziare fisicamente i bambini, sia dagli adulti (e mi riferisco agli educatori), sia dagli altri bambini. E questo direi almeno fino alle ultime classi delle elementari. Ricordate i bambini prima che scoppiasse la pandemia? SI toccavano, si spingevano, si abbracciavano, si morsicavano, si leccavano…E credete che dopo tanta lontananza dagli amici o da adulti che non fossero i genitori non desiderino più fare tutto questo?Starà ai professionisti dell’educazione, allora, quando i servizi saranno riaperti, trovare delle strategie per permettere ai bambini di esser-ci con tutta la loro corporeità. Non sarà semplice. Si dovranno fare pensieri complessi, profondi e condivisi. Ma si faranno.

3 pensieri su “Non tutto quel che si fa “fuori” è outdoor education. Dialogo con Marta Arduino.

  1. Io insegno e l’outdoor education mi sembra un’ottima possibilità di coniugare le esigenze didattiche con la fruizione di un ambiente esterno diverso dal solito. Ovviamente la natura esterna è diversa dalla classe ma direi di non sprecare questa occasione.
    Maria Domenica

  2. Ho letto con molto interesse l’articolo avendo due figli in età scolare. Non so come sarà la ripresa a settembre, sicuramente non facile. Soprattutto se mancherà una certa preparazione e programmazione, come dice la pedagogista. Qui dove abito, molti camp hanno deciso di non aprire quest’estate…

  3. Molto interessante, una tematica che mi appassiona e concordo molto su quanto dite. Devo dire che tornerò nel tuo sito, mi sembra che abbia molti post con argomenti di grande interesse per me.

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