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Mamma e medico, un anno di Covid 19.

Mamma e medico, un anno di  Covid 19.

“Ho dovuto rispolverare la fisiologia cardio respiratoria, ho imparato a regolare l’ossigeno a calcolare gli score di gravità delle polmoniti interstiziali, tutte cose che ho studiato all’università ma che non maneggio mai nel quotidiano.Ho sperimentato il distanziamento fisico dai miei figli, che sapevano che non dovevano avvicinarsi a me fino a quando non ero completamente lavata e cambiata. Li abbracciavo poco, non li baciavo. E questo anche con mio marito. Non mi ero isolata in casa, perché non abito a Versailles, ma temevo terribilmente di contagiarli.” Sono le parole di Ilaria Naldi, mamma e medico, neurologa in servizio in un reparto Covid. In questo dialogo ripercorriamo la sua esperienza dall’inizio dell’emergenza Coronavirus alla recente nuova chiusura delle scuole in zona rossa.

Mamma e medico. Come definiresti gli ultimi 12 mesi?

Negli ultimi 12 mesi, prima di tutto definirei me stessa più medico che mamma, purtroppo.

Non mi sono scelta una vita semplice, ma ho sempre cercato di conciliare al meglio una professione che amo con la famiglia (che amo ancora di più!). Quest’anno non è stato facile e non so davvero che definizione dare a questi ultimi 12 mesi.

In che modo la pandemia ha modificato la tua routine lavorativa?

La mia routine lavorativa è stata completamente sovvertita. Sono specializzata in neurologia e mi sono trovata a dover lavorare a fianco degli internisti nei reparti dove sono ricoverati i pazienti affetti da Covid-19.

Per dare aiuto ai reparti di medicina interna che sono stati convertiti in reparti Covid, tutti gli specialisti, neurologi, oculisti, otorini, gastroenterologi, oncologi, ma anche chirurghi, gli ortopedici, sono stati chiamati a dare una mano per consentire di coprire tutti i turni.

Il neurologo non utilizza un fonendoscopio. I miei strumenti sono il martello, il diapason e una fonte luminosa. 

Ho dovuto rispolverare la fisiologia cardio respiratoria, ho imparato a regolare l’ossigeno a calcolare gli score di gravità delle polmoniti interstiziali, tutte cose che ho studiato all’università ma che non maneggio mai nel quotidiano.

Poi una volta finito il turno in reparto, torno nei miei ranghi e per qualche ora torno neurologa. Poi si ricomincia.

Quali sono state le ricadute sulla routine familiare?

Durante il primo lockdown, sono praticamente sparita da casa. Tornavo a casa sostanzialmente per dormire. Mio marito, a scapito della sua attività di lavoratore autonomo, è rimasto a casa ad occuparsi dei bambini e della didattica a distanza.

Ho sperimentato il distanziamento fisico dai miei figli, che sapevano che non dovevano avvicinarsi a me fino a quando non ero completamente lavata e cambiata. Li abbracciavo poco, non li baciavo. E questo anche con mio marito. Non mi ero isolata in casa, perché non abito a Versailles, ma temevo terribilmente di contagiarli. 

Abito nello stesso paese dei miei genitori e della famiglia di mia sorella. I nostri contatti fino ad un anno fa erano quotidiani o comunque plurisettimanali. Ho smesso di vedere tutti, anche di salire al piano di sopra per andare in casa di mia suocera.

I miei figli e mio marito hanno avuto una pazienza eccezionale soprattutto nella gestione della mia stanchezza!

Foto Pixabay

Siamo in zona rossa e le scuole sono di nuovo chiuse. Come giudichi questa nuova chiusura?

Non sono assolutamente d’accordo con la chiusura delle scuole. Lo sono stata lo scorso anno, allora era doveroso. Non conoscevamo il nemico che ci si era posto di fronte e scientificamente è noto che i luoghi in cui si vive in comunità sono i primi a dover essere abbandonati in caso di epidemie.

Adesso credo che si tratti veramente di cattiva organizzazione.

I bambini sono stati bravissimi hanno imparato le regole e le hanno rispettate, il problema non è il contagio tra i ragazzi dentro le aule scolastiche. 

Mi spiego meglio: per esperienza diretta, dopo due quarantene (una per ogni classe dei mieli figli) ma anche delle altre classi della loro scuola, in ogni caso di positività riscontrata a carico di un alunno, l’esito successivo dei tamponi eseguito sui compagni delle classi in quarantena ha dimostrato che il contagio non si è trasmesso al resto della scolaresca interessata.

Il problema, allora, dove sta?

Il problema è fuori dalla scuola e riguarda soprattutto i ragazzi dalla scuola primaria di II grado in su: quando escono e devono salire su mezzi di trasporto inadeguatamente sovraffollati, quando i loro genitori gli danno il permesso di andare a fare i compiti o a giocare a casa di uno o dell’altro… questo è il problema a mio avviso! Dentro la scuola sono obbligati a rispettare le regole, fuori non le rispettano! E molti adulti e genitori non le fanno rispettare e spesso a loro volta non le rispettano.

SI è parlato di garantire la frequenza scolastica in presenza ai figli dei “lavoratori essenziali”. Avresti mandato i tuoi figli a scuola?

Certo, avrei mandato i miei figli a scuola se avessi potuto. Anzi, ci sono andati per 3 giorni, poi tutto è finito in una bolla di sapone. 

L’obbligo di dad anche per i figli dei lavoratori essenziali è stata vista da tanti come un passo indietro. Cosa ne pensi?

Non ho avuto la percezione che fosse vista come un passo indietro. Ho invece avuto la chiara sensazione che venisse vista come una ingiustizia da parte di chi non era incluso tra i “lavoratori essenziali”.Io penso che tutti i lavori siano “essenziali” per chi li svolge e per chi ne beneficia ovviamente. Tuttavia in questo preciso contesto e momento storico ci sono dei lavori “indispensabili”. Secondo me questi due termini sono diversi, seppur sinonimi.

Il personale sanitario in questo momento è indispensabile. Se manca, la gente non può essere curata e muore.

Se manca un commesso, un cassiere, un impiegato… si tratterà di fare un pochino più di fila per ottenere il servizio desiderato, ma non muore nessuno.Sono certa di risultare impopolare scrivendo questa cosa, ma purtroppo è la realtà.Se mancano i medici, gli infermieri, gli OSS e naturalmente tutto il personale che mantiene in vita ospedale, dai tecnici al personale addetto alle pulizie, il prezzo in vite umane continuerà a salire.

Onestamente, pensi che sarebbe scuola o una sorta di “parcheggio custodito”?

Con tutta l’ammirazione che ho per la scuola dei miei figli, so che non sarebbe scuola. Nei tre giorni in cui i miei figli sono tornati a scuola, hanno svolto le lezioni in contemporanea ai loro compagni che erano in DAD. Hanno, giustamente, fatto quello che tutti i loro compagni stavano facendo da casa. Ma la scuola, quella vera, è un’altra cosa.

Non mi piace nemmeno definirla “parcheggio custodito” lo considererei piuttosto un aiuto concreto per chi non può proprio rimanere a casa con i propri figli.

Qualcuno si è spinto a dire che la didattica in presenza per i figli dei lavoratori della sanità avrebbe a che fare più con il diritto alla salute pubblica che con quello allo studio. Sei d’accordo?

Il personale sanitario attivo attualmente in ambito ospedaliero ormai da un anno studia continuamente ed ha acquisito conoscenza ed esperienza dei protocolli di gestione dei pazienti Covid. Chi, se non queste persone, possono concretamente arginare la pandemia?

Chi ci può sostituire? Si è tentato di arruolare addirittura medici in pensione, ma onestamente anche solo considerando l’età di un medico in pensione, è etico fare questo? Abbiamo tutti un grande senso di responsabilità nei confronti del lavoro che abbiamo scelto e se anche arriveranno questi benedetti “congedi” sarà veramente dura poterli utilizzare. Come possiamo restare a casa?

Cosa accadrebbe se decideste di restare a casa?

Se io mi assento, un mio collega che da un anno come me non ha pace, dovrà svolgere anche il mio lavoro. E vi assicuro che siamo tutti allo stremo delle forze sia fisiche che psicologiche.Se tutto il personale sanitario che ha dei figli usufruisse dei congedi parentali, gli ospedali si ritroverebbero da un giorno all’altro con il 50% del personale in meno. Si capisce immediatamente che questo avrebbe una ripercussione incredibile sulla sanità e sulla salute pubblica.

Quindi?

Quindi no, non si tratta di un diritto allo studio dei figli dei medici o di altre persone selezionate. Tutti i bambini del mondo hanno il sacrosanto diritto allo studio. Si tratta di darci la possibilità di curarvi ed assistervi, nonostante anche noi abbiamo una famiglia e dei figli che amiamo, da accudire.

Foto Pixabay

C’è chi ha bollato l’eventuale frequenza in presenza dei figli dei sanitari come privilegio. Che effetto ti fa leggere o sentire commenti di questo tipo?

Mi addolora molto sapere di essere bollata come una privilegiata. È un privilegio stare accanto alla sofferenza senza avere armi per alleviarla? È un privilegio fare le condoglianze a un numero indefinito di famiglie ogni giorno e ogni notte, man mano che un parente muore nella sua stanza e in solitudine? Mi rispondo da sola, no. Non lo è. 

Ogni volta è una gran fatica ed è una cosa a cui non si fa l’abitudine. Vediamo ogni giorno cose che nessuno vorrebbe vedere. E questa sofferenza la portiamo a casa con noi, dalle nostre famiglie perché non esiste una bacchetta magica che ci “ripulisca” dalla stanchezza e dalla tristezza non appena passiamo il cartellino nel marcatempo per tornare finalmente a casa. 

Non siamo eroi, siamo persone che hanno studiato gran parte della loro vita per diventare medici e che continuano a farlo ogni giorno per mantenersi aggiornati. 

Eroi… cosa pensi di questo “titolo” che vi è stato attribuito quasi all’unanimità?

Fin dall’inizio non ho tollerato la definizione “eroi”, così come ho odiato gli arcobaleni attaccati alle finestre e ai balconi. E se non andasse tutto bene? Mi chiedeva mia figlia di 7 anni. Stiamo facendo solo il nostro dovere, facciamo quello che sappiamo fare e continueremo a farlo.

Inoltre forse la maggior parte delle persone non sa la difficoltà che abbiamo avuto e che abbiamo ancora a trovare qualcuno a cui affidare i nostri bambini. Non abbiamo subìto il danno economico che molti stanno attraversando a causa della pandemia, avevamo la possibilità di utilizzare i bonus “Baby sitter”, ma nessuna baby sitter voleva infilarsi a casa di un medico! Sul serio. Passare da eroi a “untori” è stato veramente un attimo

Oltre alla quasi impossibilità di trovare una baby sitter, quali sono state le maggiori difficoltà? 

Beh, le difficoltà le ho ampiamente descritte. A queste, nell’ultimo anno si aggiunge che prima che arrivasse il tanto atteso vaccino, la maggior parte degli operatori sanitari si è ammalato di Covid-19, me compresa. 

Nella mia realtà il picco di medici, infermieri, tecnici, OSS ammalati è avvenuto nei mesi di novembre e dicembre. Qualcuno dei miei colleghi non ce l’ha fatta. Erano persone della mia età, con dei compagni e figli.In quel periodo abbiamo portato a casa il virus.

Io non so come, sono riuscita a non contagiare i miei figli e mio marito, ma mi sono mantenuta isolata da loro per circa un mese. Non è stato semplice né fisicamente, perché ci sono stati momenti in cui stavo veramente male, né psicologicamente.

Molti dei miei colleghi hanno contagiato la famiglia intera. In quel periodo tantissimi di noi erano a casa in malattia, i colleghi rimasti indenni ,davvero pochi, si sono distrutti in turni massacranti. Era un periodo di “relativa calma” per quanto riguarda i ricoveri per Covid, ma tutti gli altri ambulatori lavoravano a pieno regime e a farne le spese sono state le tante persone che aspettavano da tempo per avere cure specialistiche (neurologiche, oncologiche, chirurgiche…) a farne le spese è stata di nuovo la salute di tutti, anche la nostra. 

Foto pixabay

Per finire, si sente ripetere “siamo messi peggio dell’anno scorso”. Siamo messi peggio dell’anno scorso? 

Non credo sia proprio così. Conosciamo il nemico, in maniera straordinariamente veloce abbiamo ottenuto dei vaccini. Se tutti accetteranno di farlo, funzioneranno. 

Abbiamo i tamponi che dovrebbero essere utilizzati a tappeto periodicamente su grandi e piccini come strumento valido per capire chi è ammalato e magari asintomatico. Il problema è che non abbiamo imparato ad organizzarci. Nonostante tutto, non abbiamo imparato a rispettare le regole né ad accettare i buoni suggerimenti.

Mi sembra che risulti molto semplice arrabbiarsi dicendo “siamo messi peggio dell’anno scorso” e poi continuare a lamentarci delle mascherine o a pensare che eseguire un tampone lascerà un danno piscologico indelebile nei nostri bambini. Non è uno sfogo utile, così come non è utile dividere le persone in “privilegiati e non privilegiati”. 

Credo invece che dovremmo imparare a privilegiare un approccio che faccia del rispetto, dell’educazione, della fiducia e dell’esempio una linea-guida.

Postilla

Sono grata a Ilaria per questo dialogo. Le sono grata per il tempo che ha voluto dedicarmi. La scorsa primavera, i suoi post sui social, mi hanno permesso di vedere, dove il mio sguardo non poteva arrivare. Questo dialogo è stato realizzato via mail nei giorni scorsi.

Le foto sono tratte da pixabay.

5 pensieri su “Mamma e medico, un anno di Covid 19.

  1. Intervista molto interessante, è sempre utile conoscere e diffondere come hanno vissuto e stanno vivendo queste persone a cui va tutta la mia gratitudine. Anch’io ho unamica infermiera che lavora in reparto Covid ed è stremata. Non credo affatto che siano privilegiati dopo tutti gli sforzi che fanno, nel loro lavoro ma anche per il bene degli altri. Un sentito grazie ancora ad Ilaria.

  2. In effetti vale la pena di riflettere sui tanti aspetti che hanno contraddistinto questo triste momento di vita individuale e collettiva per ricavarne delle chiavi interpretative di ordine oggettivo.Complimenti!

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