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Scuola, una maestra per caso

Scuola, una maestra per caso

Immaginate di avere un diploma magistrale, anzi un diploma equiparato a quello rilasciato dal vecchio istituto magistrale, e di non averlo mai utilizzato. Ora, immaginate di aver tirato fuori dal cassetto quel titolo di studio ottenuto prima del 2002 e di esservi iscritte, convinte dell’inutilità della cosa, alle graduatorie provinciali per la scuola primaria. Eravate talmente certe che non vi avrebbero mai chiamate che avete scelto a caso le 20 scuole per le graduatorie di istituto.

A questo punto, immaginate che una mattina di fine settembre, dell’anno scolastico più incerto della scuola repubblicana, arrivi sulla vostra posta elettronica la convocazione per una supplenza piuttosto lunga e voi mosse dalla curiosità, più che dalla possibilità di un’assunzione, vi presentiate a quella convocazione. Avevate immaginato di trovarvi in coda a una lunghissima fila di candidati ma, con vostra sorpresa, vi siete ritrovate in compagnia di altre tre persone anche se gli incarichi da assegnare erano quattro. A quel punto, in preda ad uno spirito d’avventura o ad un attacco di real-pessimismo, avete accettato quell’incarico

Vi sembra una storia inversosimile? Ne avete sentite cento uguali? Beh, a me non era mai capitato prima di imbattermi in una vicenda così. E visto che la protagonista di questa strana storia è una mia cara amica, col suo permesso, vorrei raccontarla.

Di nuovo a scuola

Ormai è trascorso più di un mese da quando Stella, la chiamerò così, ha varcato per la prima volta il cancello della scuola primaria. Corre da una classe all’altra a sostituire colleghi assenti o a dare un supporto nelle classi dove sembra essercene più bisogno. I colleghi e le colleghe la chiamano scherzosamente “covid” per via del suo far parte dell’organico Covid.

Stella ha sempre lavorato in un altro settore, uno di quelli più colpiti, e non da oggi, dalla crisi. Nel giro di pochi giorni si è trovata catapultata in un mondo nuovo, diverso da quello che ricordava (eh si, pure lei ha passato gli anta) e da quello frequentato dai suoi figli.

La scuola in cui lavora è lontana dal centro ma non ancora in periferia. Diciamo che si trova in quartiere qualsiasi di un capoluogo del Nord, uno di quelli in cui convivono fianco a fianco differenze di ogni genere. Ogni volta che entra in aula, Stella si sente un mix tra un’osservatrice partecipante e un’apprendista di bottega. “Imparerai facendo” le ha detto qualcuno nel tentativo di lenire i sensi di colpa di chi sa di star facendo “un mestiere non suo”.

A dire il vero, Stella, qualche anno fa, senza sapere bene perchè ha deciso di prendere una seconda laurea: si è iscritta a Scienze dell’Educazione ma non esclude di passare a Scienze della Formazione Primaria. Per ora, in classe e fuori, cerca di carpire ai colleghi più esperti qualche segreto per poter svolgere al meglio il suo nuovo lavoro. Non ha una classe sua, questo è vero, ma restateci voi in mezzo a 20 e più bambini senza un piano!

Comunque sia, quando sta in mezzo ai suoi piccoli alunni, Stella li osserva. Ne ha incontrati tanti in questo mese: ci sono bimbe e bimbi sempre con la mano alzata, un po’ primi della classe, un po’ bisognosi di attenzione. Ci sono quelli che urlano anche se devono parlare con il compagno del banco accanto e quelli che sussurrano anche quando chiedono qualcosa a una distanza di gran lunga superiore a quella prevista dai protocolli anti-covid.

Ci sono bimbe e bimbi che padroneggiano l’italiano come se avessero inghiottito un Devoto-Oli e quelli che appena lo comprendono . Si vede da lontano che dietro ad ognuno c’è una famiglia diversa: genitori attenti e presenti, genitori iper-protettivi, genitori in difficoltà, genitori che fanno i salti mortali per mettere insieme pranzo e cena. E così via, lungo tutti i continuum su cui noi genitori spesso tendiamo vicendevolmente a collocarci.

Poi ci sono gli insegnanti. Ne ha visti di bravissimi in queste settimane. Li ha guardati ammirata spiegare, dialogare con i bambini, anticipare i loro bisogni, rimproverarli. Ha visto maestre e maestri interagire contemporaneamente col divoratore seriale di dizionari e con il suo compagno che conosce quattro parole di italiano. Il tutto senza mai perdere la pazienza e con una porzione di occhio (o forse un occhio supplementare) deputata a controllare il rispetto delle norme anti-covid (“No, non potete scambiarvi i pennarelli!”) a partire dalle mascherine.

…mascherine

A proposito di mascherine, Stella mi ha detto che, forse, tutti quei post che circolano sui social sui bambini che indossano la mascherina senza fiatare sono un po’, come dire, idealizzati. Ci sono bambini e bambine super-ligi al rispetto delle regole e altri che fanno fatica. A qualcuno bisogna ripetere dieci volte al giorno di “tener su la mascherina”, altri ogni tanto se lo scordano.

Alcuni indossano senza problemi la mascherina fornita dalla scuola, altri hanno il viso troppo paffutto, troppo grande, troppo piccolo e anche se si impegnano si ritrovano con la mascherina sul collo senza neppure volerlo. Ci sono quelli che sembrano non aver mai fatto altro che “sollevare” o “abbassare” la mascherina a seconda delle distanze e quelli che, ogni tanto oppure spesso, se ne dimenticano.

Una cosa è certa: la maggior parte dei bambini ha afferrato il senso delle regole. Al punto da saperle trasgredire scientemente, per attacco o per difesa. Come il bambino con la faccia angelica del terzo banco, quello che un giorno, stanco di essere infastidito da quello davanti, ha escogitato il delitto perfetto.

Mentre la maestra scriveva alla lavagna e Stella girava tra i banchi, l’insospettababile fingendo di dover temperare una matita, motivo per cui è concesso spostarsi dal proprio banco, si è avvicinato all’amico. Ha preso in mano qualcosa e furtivamente ha abbassato la mascherina. Al malcapitato non è rimasto altro che urlare schifato “Maestra! Mi ha leccato la gomma!”. Stella è rimasta di stucco, ma anche l’insegnante navigata ha dovuto fare appello a tutta la sua professionalità per far fronte al dispetto dell’era Covid.

Dad, did…

L’altro giorno, Stella è rimasta ad ascoltare un discorso in cortile, tra un gruppetto di bambini di terza o quarta. Tra un gioco e l’altro, durante la ricreazione, discutevano tra loro di un possibile “ritorno alla dad”. E mentre li sentiva mescolare ipotesi di mamma e papà, discorsi di Conte e Azzolina, video visti su youtube e stralci di tg, Stella ha provato a immaginare la vita di quei bambini e di quelle bambine in caso di un nuovo lockdown totale.

Nella sua testa, si sono avvicendati rapidamente: bambini perfettamente in grado di districarsi con qualsiasi tecnologia, bambini assistiti h24 da genitori o fratelli più grandi, bambini spaesati, bambini costretti ad arrangiarsi, bambini in difficoltà, bambini sempre presenti, bambini presenti a tratti, bambini quasi sempre assenti.

“A scuola sta bene chi ci sta bene, gli altri no” ha detto qualche giorno fa un’amica, in una delle nostre ultime uscite a tre. “Temo che chi non sta bene a scuola possa non stare bene neppure con la dad” ha aggiunto Stella sottovoce.

2 pensieri su “Scuola, una maestra per caso

  1. Quasi tutte abbiamo iniziato così. Fare le supplenze aiuta a vedere tanti modi di insegnare e piano piano a crearsi un metodo personale di insegnamento. Lo studio aiuta a affrontare la realtà, ma poi sul campo servono tante energie, buon senso, spirito d’osservazione e tanta tanta pazienza. In bocca al lupo alla tua amica

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