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Si fa presto a dire anziani

Si fa presto a dire anziani

L’ho incontrata stamattina mentre andavo a fare la spesa. Una folta capigliatura grigia ma non troppo, un metro e sessanta incurvato dagli anni, un sorriso perso, una gonna scozzese sotto il ginocchio, scarpe che a me hanno sempre fatto pensare alle suore. Camminava a passi lenti, aggrappata a un’altra donna, una figlia, forse, o una badante. L’ho incontrata più volte in queste settimane, sempre nello stesso tratto di portico. E tante volte l’avevo incontrata prima.

Mi è capitato spesso di incrociarla al parco. Passeggiava un po’ poi si sdeva su una panchina. E non perdeva occasione per attaccare bottone con i bambini. Non che li sgridasse! Tutt’altro. Azzardava qualche complimento. Chiedeva loro il nome. E loro le rispondevano e poi tornavano a giocare. Capitava anche che scambiasse qualche parola con qualche mamma. Discorsi frammentati a causa del vociare dei bambini, del suo eloquio non più chiaro, del non sapere cosa dirsi oltre il “come sta?” .

Nel vederla mi sono chiesta come stia vivendo questa esperienza. Le ricorda la guerra? Si sente più protetta o più privata di pezzi di vita? La stessa domanda mi ha spinto a provare una sorta di tenerezza per tutti i “vecchietti indisciplinati” incontrati in questi giorni. E se per alcuni di loro, la spesa al supermercato, con le chiacchiere rituali al banco gastronomia e alla cassa, fosse qualcosa di “vitale”?

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Allo stesso tempo non mi ha mai convinto la “divisione” degli anziani in soggetti da proteggere o pericolosi untori. Una narrazione in cui erano attori puramente passivi o irresponsabilmente attivi. Lemanifestazioni di odio contro i vecchi che si azzardavano a buttare la spazzatura o a fare due passi sono state, a mio avviso le peggiori, tra le “caccie all’untore” che si sono scatenate negli ultimi 40 giorni.

Gli anziani, lo abbiamo letto e riletto, sono i soggetti più a rischio: coloro che più facilmente possono contrarre il virus e per i quali il decorso può essere, maggiormente, nefasto.Questo perchè, spesso, soffrono di altre patologie che li rendono maggiormente vulnerabili.

Eppure il dubbio rimane: quale conseguenza può avere sulle loro vite l’isolamento necessario a proteggerli e proteggere la collettività? Quanto tempo ancora possono stare confinati in casa? Per quanto tempo possono ancora rinunciare ad andare al parco, al centro anziani, al centro diurno, in chiesa?

“Anziani” è un termine generico. Indica una categoria ombrello sotto cui si collocano persone molto differenti tra loro, per stato di salute, livello socio-economico e culturale, relazioni, abitudini di vita. Persino l’autopercezione di se stessi può variare in modo significativo. Così come l’essere anziani oggi non è completamente sovrapponibile all’esserlo stati 40 anni fa.

Ci sono gli anziani nelle case di riposo, vittime spesso indifese di questa epidemia. Ci sono gli anziani in buona salute, quelli che ricordano i bei tempi andati e quelli attivi da far invidia a molti quarantenni. Ci sono i giovani anziani (65-75) e gli anziani anziani (75 e oltre). Si parla sempre più spesso di quarta età (75 e oltre) e quinta età (90 e oltre), solo per citare alcune della categorie utilizzate per definire la terza età.

Tra gli anziani che potrebbero essere tra gli ultimi a uscire dal confinamento (termine forse meno rassicurante di lockdown) ci sono anche tanti nonni che fino a due mesi fa si occupavano dei nipoti, offrendo una grossa mano al welfare e sopperendo, spesso, ad altre forme di conciliazione tra vita professionale e familiare dei genitori.

Vladimiro Zagrebelsky sulle pagine de La Stampa è arrivato a ipotizzare che un ulteriore confinamento degli anziani possa tradursi in una segregazione, simile a un abuso. Non ho intenzione, nè avrei le competenze, per addentrarmi in considerazioni di tipo giuridico. Mi chiedo semplicemente se la protezione non abbia un rovescio della medaglia, specialmente per gli anziani soli, quelli per cui fare due chiacchiere davanti ai lavori in corso, sul sagrato della chiesa o sulle panchine di un parco è più che un’abitudine.

Sarà possibile, permettere loro di ri-appropriarsi delle proprie abitudini e conciliare questo con misure di contenimento del contagio meno restrittive dello stare a casa fino a data da definirsi? Me lo auguro. Di cuore. Intanto, continuerò a dispensare “segni di complicità” agli over 70 in fila per buttare la spazzatura e pure a quelli che fingeranno di non sentire che la spesa si può ordinare per telefono. Purchè mantengano il metro di distanza da chicchesià, si intende.

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