<

Coronavirus e infanzia: “basta paragoni, ascoltiamo i bambini e i genitori”.

Coronavirus e infanzia: “basta paragoni, ascoltiamo i bambini e i genitori”.

Cosa può aiutare i genitori a conciliare lavoro e cura dei figli quando scuole e nidi sono chiusi? L’ho chiesto a Micol Tuzi, delegata RSU Cgil e pedagogista. Micol lavora a contatto con i bambini e le loro famiglie, in una città, Bologna momentaneamente in zona rossa. Micol è anche mamma di un adolescente che sta sperimentando la didattica a distanza. Uno di quegli adolescenti che nella narrazione collettiva vengono spesso affiancati ai coetanei vissuti nei periodi più bui del secolo scorso. “Paragonare il vissuto dei nostri bambini e adolescenti con quello di chi ha vissuto altre epoche storiche o vive in scenari tragici rischia di disconfermare le loro emozioni. I ragazzi stanno male, percepiscono un malessere  e davanti a questo malessere noi gli diciamo che “stare male è sbagliato”, che “non devono stare male” spiega in uno dei passaggi di questo dialogo.

Eroi o bambocci viziati. Che effetto ti fanno queste due narrazioni contrapposte usate per descrivere  bambini e ragazzi nel corso della pandemia?

Non c’è un bambino uguale a un altro e non c’è una situazione uguale a un’ altra: generalizzare è impossibile. Se si guardano le singole situazioni e si osservano i singoli bambini si scopre che  espressioni come “eroi” o “viziati” sono giudizi di valore che lasciano il tempo che trovano. Sul termine “viziati” si potrebbe discutere a lungo…

 Perché?

Cosa si intende per “viziati”? I bambini sono viziati perché ricevono maggiori attenzioni che in passato? Sono viziati perché non sono più considerati forza lavoro? La società è cambiata, la famiglia è diventata mononucleare. Spesso si ha un solo figlio e quel figlio è una sorta di traguardo raggiunto dopo aver trovato un lavoro stabile. A quel figlio desiderato si dedicano tante attenzioni. Al contempo assistiamo a una privatizzazione dell’infanzia: la società considera i figli  “affari” di chi li ha. In passato, probabilmente c’era una maggiore attenzione alle nuove generazioni come “bene collettivo”

Ascoltiamo gli adolescenti

Chi frequenta i social network si imbatte spesso in paragoni tra gli adolescenti alle prese con la pandemia e quelli che hanno vissuto le due guerre mondiali. Come consideri questo paragone?

Credo sia un paragone improprio, come trovo improprio il paragone tra i nostri figli e i bambini che vivono in Siria o in altre situazioni di guerra. Paragoni come questi generano non-ascolto. Il discorso non va focalizzato sulla quantità di dolore, ma sulla “qualità” del dolore, sul tipo di dolore che i nostri ragazzi stanno provando

Quali possono essere gli effetti di questo non- ascolto?

Continuare a paragonare il vissuto dei nostri bambini e adolescenti con quello di chi ha vissuto altre epoche storiche o vive in scenari tragici rischia di disconfermare le loro emozioni. I ragazzi stanno male, percepiscono un malessere  e davanti a questo malessere noi gli diciamo che “stare male è sbagliato”, che “non devono stare male”. 

DDI in zona rossa
Dad in zona rossa

 La pandemia ha costretto tutti a cambiare le proprie abitudini. Hai unfiglio adolescente e lavori con i bambini. Quali effetti stai osservando?

Mio figlio l’anno scorso in Dad mi diceva “è come se non fossi da nessuna parte”. Tutti noi avevamo routine, spazi e confini che si sono mescolati. La casa è diventata anche scuola e ufficio e c’è incertezza sui tempi in cui si tornerà alla normalità. L’adolescenza è il periodo in cui si va in cerca di sé, del proprio posto nel mondo e nel gruppo. Di fatto abbiamo tolto agli adolescenti  la dimensione del gruppo, le relazioni con i pari si sono diradate. 

 La tecnologia però permette di rimanere in relazione con i coetanei

La tecnologia è una risorsa ma le relazioni mediate non possono sostituire o essere considerate uguali a quelle in presenza. A  distanza è più difficile percepire il limite e il rischio. Freni e recuperi sono più difficili da attivare: se ad esempio mi accorgo che la persona che sto prendendo in giro sta piangendo è più facile che io smetta o che qualcuno intervenga, online i tempi si dilatano e la percezione dell’altro è più sfumata. Nella normalità ci sono situazioni di disagio che gli adulti fingono di non vedere e faticano a portare in superficie. Quando ciò che preferiamo non vedere accade sul web è ancora più difficile da intercettare e portare a galla. Tutto ciò richiede, tra le altre cose, anche investimenti sui saperi digitali. 

Infanzia e pandemia

Quali sono, invece, le maggiori difficoltà che osservi sui più piccoli?

 Se i più grandi faticano a immaginare il futuro, i piccoli hanno perso la routine. Ci sono bambini del nido e della scuola dell’infanzia che piangono in lead e non ne vogliono sapere di passare un po’ di tempo davanti al computer con la dada o la maestra mentre i genitori lavorano nella stessa stanza o in quella accanto. Casa è il posto in cui sono abituati a stare con mamma e papà e il fatto che tutto si svolga nello stesso luogo  e che i genitori stiano lavorando e non possano giocare con loro li manda in crisi. 

  Lead è l’acronimo di legami educativi a distanza. In cosa consistequesta forma di relazione a distanza attivata nei nidi e nelle scuole d’infanzia di Bologna?

I lead camminano su due gambe. Una parte delle attività è dedicata a bambini: proposte di gioco, laboratori, piccole attività in modalità sincrona o asincrona. Se un bambino non vuole stare davanti allo schermo o non vuole fare a casa attività che è abituato a fare al nido o a scuola, chiediamo ai genitori di non forzarlo. Se ad esempio, un bambino preferisce andare a giocare in cortile crediamo sia sano, se possibile, esaudire questo suo desiderio. 

Qual è la seconda gamba?

La seconda gamba è quella dedicata al sostegno alla genitorialità e ci stiamo accorgendo che è quella preponderante. Vediamo che ci sono tante famiglie in difficoltà: lavorare, fuori casa o in smart working, e doversi occupare contemporaneamente dei bambini non è semplice. Il sostegno ai genitori e  alle famiglie consiste anche in colloqui individuali, telefonate, incontri a distanza in piccolo gruppo, tutte occasioni in cui si può parlare di temi connessi all’infanzia, dallo svezzamento allo spannolinamento, fino alle difficoltà quotidiane vissute in questo periodo. 

A quali difficoltà ti riferisci?

I bambini fanno i bambini e cercano attenzioni, se mamma e papà stanno lavorando non possono stare sempre con loro. Il rischio è che i bambini si sentano trascurati, si chiedano perché mamma e papà sono a casa ma non possano giocare con loro, soprattutto se erano abituati a considerare la casa il luogo in cui “stare insieme”. Tutto ciò genera tensioni sia nei bambini che nei genitori. Può capitare che certe tensioni sfocino in parole e gesti di rabbia ma spesso non si tratta di azioni e gesti di genitori cattivi ma di genitori sfiniti, stanchi, perché magari hanno anche il fiato sul collo dei datori di lavoro. Non si può far finta di niente. Queste difficoltà esistono e dobbiamo evitare che si trasformino e si aggravino magari sfociando in epiloghi tragici.

 La difficoltà a conciliare cura dei figli e lavoro esisteva già prima della pandemia. Il Covid l’ha acuita?

 Penso che la pandemia sia stata un detonatore che ha fatto esplodere ciò che già non funzionava da tempo. Lo stiamo vedendo in tanti settori. Pensiamo alla scuola: la pandemia non ha fatto altro che allargare la forbice delle diseguaglianze e fatto emergere, ad esempio, abbandono e dispersione scolastica. Provo a spiegare:  a distanza è più difficile mantenere un legame con chi, per insuccesso o povertà socio-educativa, rischia di abbandonare la scuola. Bastano poche mosse per far finta di partecipare ad una lezione online…

Rimettiamo l’infanzia al centro

Scuola, lavoro, infanzia…quali pensi debbano essere le priorità della politica?

Una quota cospicua di risorse, a partire da quelle del recovery fund, vanno destinate a un piano straordinario di assunzioni di personale scolastico e educativo. Questo deve valere anche per le scuole comunali: le amministrazioni sono ancora costrette ai vincoli di spesa stabiliti dalla legge Brunetta. Ormai non basta più assumere in ragione del turnover. Occorre, poi, investire sugli spazi: edilizia scolastica, laboratori, aule all’aperto. Bisogna potenziare tutto quello che permette di lavorare in presenza in sicurezza. La sicurezza non può essere garantita senza una cospicua implementazione della sanità pubblica. Serve un potenziamento della medicina territoriale e di quella di comunità per garantire il tracciamento e i tamponi. Serve un piano vaccinale per tutti coloro che lavorano nella scuola. Inoltre, bisogna intervenire sui trasporti e con questo intendo sia il potenziamento del trasporto pubblico che quello delle piste ciclabili per far sì che non ci si debba trovare ammassati sugli autobus. 

Insomma, serve investire direttamente e indirettamente sulla scuola e sull’educazione….

Occorre garantire a tutti il diritto costituzionale di accedere ai saperi. E questo non può prescindere da interventi a sostegno della conciliazione di lavoro e tempi di cura. Nidi e scuole d’infanzia hanno una funzione di sostegno alle famiglie ma non possono e non devono essere ridotti a luoghi di custodia. Occorre riconoscere e valorizzare la loro dimensione educativa. Nell’immediato, servono misure specifiche come i bonus baby sitter e I congedi anche per i genitori che lavorano in smart working.

 Proviamo a immaginare di essere fuori dalla pandemia

Questa esperienza ha fatto emergere tante disfunzioni presenti da tempo. Adesso occorre tirare fuori il meglio. Dovremmo considerare tutto ciò che abbiamo vissuto per mettere mano al sistema e costruire un mondo migliore.

Da dove proponi di partire?

Credo si debba partire da un ribaltamento di prospettiva. Bisogna smettere di considerare i bambini una questione che riguarda soltanto le loro famiglie. Se le famiglie sono in difficoltà si corre il rischio di generare sacche di povertà educativa che a loro volta  potrebbero trasformarsi in povertà socio economica e in utenza dei servizi  socio-assistenziali. Serve un welfare generativo. Ma ripeto, prima di tutto occorre un ribaltamento:  l’infanzia deve essere messa al centro e considerata un bene comune, una risorsa per il futuro di tutti. 

6 pensieri su “Coronavirus e infanzia: “basta paragoni, ascoltiamo i bambini e i genitori”.

  1. “Penso che la pandemia sia stata un detonatore che ha fatto esplodere ciò che già non funzionava da tempo”. … hai ragione anch’io la pensavo così ma credevo che non mi capissero e invece c’é finalmente qualcuno con cui condividere questa idea. Lo vedo in tanti altri settori. Il mondo stava andando a rotoli e la pandemia é la conseguenza logica di un mondo che era già in crisi e senza valori. Smettiamola di dare sempre al covid la colpa del disagio attuale, iI covid é la conseguenza logica di un disagio che già dilagava.

    1. Non so se il Covid sia conseguenza del disagio, sicuramente ha portato a galla e amplificato situazioni critiche esistenti.

Rispondi